Pandemia

Pandemia

La vita di un ipocondriaco non è troppo diversa da quella di un grande artista: si basa su diversi momenti “creativi”. Nel corso della sua esistenza, infatti, raramente un ipocondriaco concentrerà le sue attenzioni su una singola malattia o degenerazione fisica. Piuttosto vivrà diversi periodi, tutti segnati dal comparire di un insieme di sintomatologie le quali lo convinceranno, senza alcuna possibilità di essere confutate, dell’essere vittima del dato morbo/virus/malattia/batterio killer. L’argomento può sembrare banalizzante, e certamente lo è per chiunque abbia avuto casi di reali problematiche sanitarie capaci di sovvertire la sfera ipotetica dell’ipocondria, in ogni caso l’ipocondriaco è certo dei sintomi che prova, nonché della malattia della quale tali sintomi sono precursori. In sostanza, senza scomodare Molière, l’ipocondriaco è un malato di una malattia che esiste solamente nel suo cervello e nella sua immaginazione. Il resto, ovviamente, è lasciato nelle mani della psicosomatica.

Alcuni giorni fa la mia bacheca social iniziò a pullulare di paginate in cui, con un copia-incolla degno del peggior Photoshop e con una sintassi e un uso dei segni di interpunzione alquanto discutibile, numerosi utenti riprendevano un avviso secondo cui il virus Ebola sarebbe giunto (ovviamente tramite migranti provenienti dall’Africa sub-sahariana) nell’isola di Lampedusa. Notizia discretamente improbabile se non impossibile, pensai, visto che l’eziologia del virus (qui vi invito a contattare subito qualche amico studente di medicina e/o appassionato di malattie infettive: chiunque di noi ne ha uno!) rende difficile una sua diffusione per mezzo mare. Altresì, il fatto che il virus fosse arrivato “appena” in Nigeria alcune settimane prima (con meno di una decina di decessi), mi faceva dubitare che in una settimana il contagio si fosse diffuso fino a decine di migliaia di chilometri di distanza. Attraversando città, deserti e, cosa non da poco, un mare. Ma tant’è, e la tesi sulla prossima epidemia di Ebola in Italia ha dalla sua fior fiore di pensatori, quali il segretario della Lega Nord Salvini, e uno dei massimi esponenti dell’intellighenzia leghista: l’euro-deputato Mario Borghezio. Persone sostanzialmente moderate se confrontate al vecchio fascista Jean-Marie Le Pen, il quale si limita a sostenere che «il virus Ebola è un’ottima soluzione al problema dell’immigrazione». Nemmeno nella stupidità e nel becero razzismo riusciamo più a farci valere: siamo proprio un paese allo sbando!

In ogni caso, la vicenda del virus Ebola è drammatica, nonché meritoria di numerose riflessioni. Riflessioni che andrebbero, però, svolte con raziocinio e non con bieco sciacallaggio giornalistico. Insomma, alle degenerazioni scandalistiche di Studio Aperto è sempre meglio preferire il parere di un esperto di malattie infettive. Magari ricordando che queste ultime esistono dalla notte dei tempi e, nemmeno troppo raramente, sono sfociate in pandemie ben più gravi, diffuse e letali dello stesso Ebola. Ebola che, secondo recenti annunci, ha già in rampa di lancio un vaccino per il 2015, ovviamente prodotto da una grande multinazionale farmaceutica. Lascio a voi speculazioni e tesi complottistiche varie, io mi limito a sottolineare che il business della “morte” (fame, guerra, pestilenza) è forse il più redditizio della storia dell’umanità moderna. E, come tutti i business, ha pochi azionisti e molti, moltissimi, finanziatori inconsapevoli. Le cose, però, non sono sempre andate così, e l’uomo ha spesso dimostrato di saper lottare ad armi pari con le piaghe che lo hanno colto nel corso dei millenni. Certo, spesso ci sono voluti secoli di lotte, ricadute, lenti progressi, zone d’ombra e via discorrendo, però l’umanità è riuscita a debellare (o quanto meno a limitare e/o contenere) molte delle pandemie con cui si è trovata a lottare. Ecco, di seguito, la lista delle più feroci. Agli ipocondriaci l’ardua sentenza:

pandemia

– Tifo (430 ac – oggi): il tifo esantematico, da non confondersi con la febbre tifoidea, è una delle più antiche malattie infettive della storia. Si pensa che già la famosa Peste di Atene (la quale uccise Pericle e alcuni dei suoi figli) fosse di natura tifoidea, anche se gli storici sono tutt’ora dibattuti in merito. Lo storico greco Tucidide ne descrisse così la virulenza: «la maggior parte moriva, o al nono o al settimo giorno per effetto del calore interno avendo ancora un po’ di forza, oppure se superavano la fase acuta, poiché la malattia scendeva nell’intestino e verificandosi un’ulcerazione forte e contemporaneamente verificandosi una violenta diarrea, i più morivano in seguito, per la debolezza causata da essa. Infatti il male, inizialmente localizzatosi nella testa, scorreva attraverso tutto il corpo, cominciando dall’alto e se uno fosse scampato ai mali più gravi, l’affezione alle sue estremità lasciava un indizio evidente della malattia. E infatti il male scendeva fino ai genitali e alle punte delle mani e dei piedi, e molti sfuggivano alla malattia privati di queste e alcuni restando privi anche degli occhi. E altri poi erano colti da dimenticanze di tutte le cose subito dopo essere guariti e non riconoscevano loro stessi e i loro familiari». Va detto che molte delle epidemie anticamente chiamate “pesti” avevano natura completamente diversa tra loro, quindi ricondurle ad un dato ceppo infettivo soltanto a partire da una descrizione è alquanto problematico. In ogni caso il tifo si diffonde a partire dai roditori, e si trasmette all’uomo attraverso un pidocchio. Il quale, poi, passa di “ospite” in “ospite” attraverso il contatto con le feci o lesioni e micro-lesioni cutanee. Non a caso la diffusione del tifo si verifica in maniera esponenziale quando gli esseri umani sono costretti a vivere in condizioni igieniche precarie o assenti a causa di carestie, disastri naturali o guerre. I sintomi del tifo sono febbre alta, mal di testa, brividi ed eruzioni cutanee, e si calcola abbiano portato alla morte (nel corso dei secoli) di quasi tre milioni di individui, attraverso numerose epidemie diffusesi nelle più svariate parti del globo. Nel corso della ritirata da Mosca del 1812, i soldati napoleonici uccisi dal tifo furono molti di più di quelli uccisi dai Russi. Come vedremo in seguito, più della spada o del cannone, poté l’epidemia.

Attualmente il tifo esantematico uccide ancora circa 0,2 persone su un campione di un milione di individui. L’incidenza è così bassa grazie alle ricerche del medico polacco Rudolf Weigl, inventore del primo vaccino contro il tifo. Le sue ricerche si svilupparono a ridosso della Seconda Guerra Mondiale, e portarono i frutti sperati nel corso della stessa. A discapito dell’ingerenza nazista, Weigl salvò numerosissime vite di Ebrei rinchiusi nei ghetti di Lviv e Varsavia, dove le abominevoli condizioni igieniche facilitavano la diffusione della malattia.

– Colera (1817 – oggi): il colera è una malattia infettiva del tratto intestinale causata dal batterio Vibrio Cholerae, un batterio i cui habitat prediletti sono l’ambiente acquatico e l’intestino umano. Presente con ogni probabilità da diversi secoli, il colera esplose pandemico nel 1817, sulle rive del Gange, diffondendosi poi (attraverso gli spostamenti coloniali) in tutta Europa, in Asia e nelle Americhe. Il colera è considerata la prima malattia della “rivoluzione commerciale” perché la sua diffusione aumentò in maniera esponenziale proprio a causa dell’aumentare degli scambi commerciali tra i continenti. I sintomi del colera sono forte diarrea, dolori addominali, vomito, disidratazione e, in seguito, sudorazione fredda. Entrati in quest’ultima fase (chiamata “fase algida”) la morte sopraggiunge in poche ore. Sulla diffusione del colera si interrogarono molti medici, stupiti da una così apparentemente scollegata comparsa di focolai colerici nei diversi quartieri delle città. A metà del XIX secolo il medico inglese John Snow, confutando la tesi vigente secondo cui la diffusione del colera avveniva per via aerea, ipotizzò che il vettore per il batterio fosse l’acqua. Studiò quindi la rete idrica londinese, identificando nella fontanella di Broad Street il luogo di diffusione del contagio. Iniziò, quindi, una campagna di sensibilizzazione e prevenzione, la quale bloccò prima la fontana e poi consigliò ai cittadini di consumare solamente cibi cotti o acqua portata precedentemente a ebollizione. Le pandemie di colera “riconosciute” sono sette, sei delle quali giunsero in Italia, provocando migliaia di morti ma venendo lentamente arginate grazie all’attenzione crescente verso l’igiene e i controlli sanitari. Si calcola che, nel corso dei secoli, il colera abbia ucciso alcune centinaia di migliaia di persone.

Il colera non è attualmente debellato, e la diffusione del batterio che lo causa non è ancora del tutto noti agli studiosi che indagano in merito. Tuttavia, se trattato con terapie reidratanti e antibiotici, il colera non supera la mortalità dell’1%. Altresì, il suo tasso si aggira tra il 30 e il 60%, e si diffonde specialmente nei paesi poveri, dove la diagnosi non è quasi mai tempestiva e le terapie sono sostanzialmente assenti.

– AIDS (1981 – oggi): la sindrome da immunodeficienza acquisita è una malattia del sistema immunitario che deriva dal virus dell’immunodeficienza umana (HIV). Il quale, a sua volta, deriva dal virus dell’immunodeficienza delle scimmie (SIV). Il passaggio del virus da animale a uomo ha, come molti altri suoi predecessori, probabile radice nel colonialismo, nel sovraffollamento di aree una volta non densamente popolate, nel cambiamento di costumi sociali e, con ogni probabilità, in un insieme di casualità che hanno portato il SIV in contatto diretto con l’organismo umano. Dell’AIDS si sono diffusamente occupate non soltanto la letteratura scientifica e la ricerca, bensì la narrativa, il cinema e diverse altre arti. Le quali hanno trattato numerose volte di questo fenomeno capace di colpire (a discapito di quanto si credesse all’inizio della pandemia) chiunque. La credenza che l’AIDS fosse una malattia esclusiva delle comunità omosessuali o dei tossicodipendenti è stata dura da eradicare, ma il fatto che nell’ultimo decennio il numero di nuove infezioni fosse nella quasi sua totalità ascrivibile a eterosessuali (che, spesso, mai avevano fatto uso di droghe in vita loro) ha fatto sì che l’attenzione dei media si spostasse sulla prevenzione da pratiche che potessero esporre al contatto con il virus HIV. L’HIV, infatti, è un retrovirus che dà origine a infezioni croniche le quali, se non trattate prontamente, portano alla morte. In sostanza non è l’HIV stesso a uccidere, bensì le infezioni correlate, le quali finiscono con il proliferare in un corpo ormai quasi privo (a seconda dello stato della malattia) di difese immunitarie. La diffusione del virus avviene attraverso la penetrazione diretta di sangue o altre secrezioni infette nel circolo ematico di un individuo sano. Contatto diretto con sangue infetto e rapporti sessuali penetrativi non protetti sono dunque i casi più comuni.

La ricerca medica non ha ancora sviluppato un vaccino o una cura effettiva per tale malattia. L’utilizzo di farmaci anti-retrovirali, sia in fase preventiva che successiva al contagio, si è rivelato discretamente utile, ma il costo eccessivo degli stessi e i numerosi effetti collaterali fanno sì che la migliore soluzione sia quella di evitare pratiche “a rischio”. Dalla comparsa a oggi, l’AIDS ha portato alla morte di oltre 25 milioni di persone e si calcola che circa 50 milioni di individui vivano con il virus dell’HIV, il quale è diventato quasi “cronico” nei paesi sviluppati in cui le cure sono accessibili, mentre resta una piaga sociale nei paesi in cui la prevenzione e l’accesso alle cure sono ai minimi termini.

– Malaria ( ? – oggi): la malaria è una malattia provocata dai parassiti del genere Plasmodium, la cui pericolosità varia a seconda della specie che entra in contatto con il corpo umano. Il vettore sono le zanzare del genere Anopheles, le quali inoculano il Plasmodium nell’atto di suggere il sangue della “vittima”. La malaria sembra essere presente in natura da circa 50000 anni, e se ne hanno tracce anche negli scritti di Ippocrate, il quale ne descrisse in maniera dettagliata i sintomi. Nonostante la malaria sia principalmente diffusa in zone non bonificate in cui le zanzare anofele sono estremamente presenti, vi sono numerosi casi di diffusione in zone industrializzate a seguito dello spostamento di individui affetti dalla malattia. A discapito degli sforzi fatti per bonificare le zone a rischio (si pensi che in Italia la malaria è stata eradicata solamente a metà del ‘900), vi sono aree in cui la diffusione del Plasmodium è così alta che ipotizzare una sua eliminazione totale è sostanzialmente utopico. Ogni anno la malaria causa febbri malariche a circa 400-900 milioni di individui, e porta alla morte circa 3 milioni di persone. L’incidenza è maggiore a seconda della tipologia di parassita infettante, nonché dello stato di salute dell’individuo che viene colpito dalla malattia o dalla sua successiva recrudescenza.

A oggi non vi è un vaccino per la malaria mentre le terapie farmacologiche, seppur utili, combattono con numerosi effetti collaterali e con le diagnosi spesso intempestive, causate dalla diffusione della malattia in zone rurali. A differenza dell’AIDS, i fondi destinati alla prevenzione della malaria e alla ricerca di un vaccino/bonifica delle zone a rischio sono molto minori. Passi avanti sono stati compiuti non tanto dalla ricerca medica, quanto più dalla sensibilizzazione dei soggetti a rischio. Conoscere le larve delle zanzare e spingere i possibili infettati a sottoporsi a visite e controlli si è dimostrata una pratica estremamente utile per limitare la diffusione della malattia.

– Peste Nera (1340 – XVIII secolo): nel corso dei secoli numerosi casi di pestilenze pandemiche si diffusero nel mondo conosciuto. Le origini non erano sempre le stesse così che, spesso, venivano accomunate malattie il cui ceppo era sostanzialmente differente, ma i cui effetti similari. Sembra non essere questo il caso della Peste Nera, la quale colpì a più ondate tra il XIV e il XVIII secolo. Portata in Europa a partire dall’Asia, la Peste Nera (o Morte Nera) ha origine dalla moria di roditori nelle regioni del Pamir e dell’Altaj. In assenza del loro piatto preferito le pulci, vettori dei bacilli della peste, si concentrarono sull’uomo. L’efficientissima rete commerciale dell’impero Mongolo, poi, fece il resto. Ecco che la Peste Nera si diffuse, così, in Europa, con una velocità estrema e secondo modalità che potevano variare dal semplice contatto all’utilizzo di cadaveri infetti per attaccare la resistenza di castelli fortificati. La Peste Nera poteva essere di natura “bubbonica”, ovvero comportante l’ingrossamento dei linfonodi fino alla loro suppurazione, oppure “polmonare”; forma più grave che portava alla morte per edema polmonare acuto. La Peste Nera comportava forti febbri, cefalee, debolezza, vomito, emorragie interne, crisi renali o respiratorie. Il decesso sopraggiungeva in poche settimane e si calcola che, con la prima Peste Nera del XIV secolo, circa 25 milioni di individui (un terzo della popolazione europea) trovarono la morte. Nel corso dei secoli si verificarono altre pandemie di peste, tra cui va ricordata quella del ‘600, descritta dal Manzoni ne “I promessi sposi” e nella “Storia della colonna infame”, dove si puntava il dito contro la pratica dell’untore. Pratica che aveva caratterizzato già la Peste del ‘300, della cui diffusione furono incolpati gli Ebrei dando il là a una vera e propria persecuzione nei loro confronti. La Peste Nera del ‘300 fu raccontata dal Boccaccio nel “Decameron”, il quale ne fece un invito all’edonismo e al vivere al massimo delle nostre possibilità il tempo che ci viene dato.

A livello storico-sociale la Peste Nera fu una grande risorsa (per i sopravvissuti): l’aumento di terreni coltivabili e il calo demografico alzarono il salario dei lavoratori, mentre la riflessione sulla caducità della nostra esistenza portò alla conclusione del periodo medioevale e aprì le porte al Rinascimento. Non tutte le pesti vengono per nuocere.

– Influenza Spagnola (1918 – 1920): scoppiata improvvisamente nel corso dell’ultimo anno della Prima Guerra Mondiale, l’Influenza Spagnola infettò in un paio d’anni circa 1 miliardo di persone, portandone alla morte più di 50 milioni. La Spagnola (così chiamata perché la Spagna, estranea al conflitto mondiale, fu la prima a darne notizia mentre la stampa degli altri paesi tendeva a censurare il fenomeno per paura di scatenare il panico tra la popolazione) era un tipo di influenza particolarmente aggressivo che, instauratasi in un quadro mondiale di scarse conoscenze mediche, condizioni sanitarie precarie (a causa della guerra) e povertà diffusa, trovò terreno fertile per falcidiare la popolazione mondiale. Se la Prima Guerra Mondiale aveva ucciso 10 milioni di persone, la Spagnola ne uccise cinque volte tanti, e con una rapidità impressionante. La Spagnola colpì i diversi strati della popolazione, interessandosi ben poco del ceto sociale o della disponibilità economica delle vittime. Il virus che causò la Spagnola faceva parte del sottotipo H1N1, lo stesso dell’influenza suina. La non conoscenza all’epoca di cure antibiotiche, poi, (inefficaci con il virus, ma utili per limitare l’impatto delle complicanze batteriche, come le infezioni) fece sì che i decessi furono enormi rispetto a quelli che si sarebbero verificati in presenza dell’utilizzo delle stesse. La diffusione così rapida della pandemia non portò alla creazione di un vaccino: nel 1920 la Spagnola recesse quasi “autonomamente”. Con lei si portò via personalità del calibro di Apollinaire, Schiele, Tozzi, Max Weber e anche due dei tre veggenti di Fatima.

– Vaiolo ( ? – 1979): il vaiolo è una malattia infettiva causata dal Variola, un virus che ha la sua peculiarità nell’infettare solamente gli esseri umani. Infezioni in altre specie animali sono state riprodotte soltanto in laboratorio, per mezzo di un’inoculazione coatta da parte dell’uomo. Vi sono due varianti del Variola virus: il Variola major (mortalità tra il 30 e il 35%) e il Variola minor (mortalità inferiore all’1%), entrambi derivano dallo stesso ceppo, la cui origine è tuttora dibattuta, ma che può essere ricondotta a circa diecimila anni prima della venuta di Cristo. Il vaiolo si trasmette per via aerea, mediante l’inalazione di goccioline contenente i virioni del vaiolo prodotti dalla mucosa orale, nasale o faringea di un individuo affetto da vaiolo. Dopo un’incubazione di circa 12 giorni si manifestano i primi sintomi: febbre, dolori muscolari, cefalea, lesioni in palato, faringe, lingua e bocca, nonché la formazione delle tipiche pustole del vaiolo, causate dall’intaccamento delle cellule della cute da parte del virus. Le complicazioni causate dal virus portano alla morte nel 30% circa dei casi, con aumento dell’incidenza in caso di bambini o individui affetti da precedenti patologie. Si calcola che, nel solo XVIII secolo, il vaiolo infettò 60 milioni di Europei inclusi cinque monarchi, provocando la morte di circa 400000 individui l’anno. Il vaiolo fu introdotto in America dai colonizzatori spagnoli, i quali utilizzarono i cadaveri infetti come arma batteriologica per sopraffare gli Aztechi. Il vaiolo, infatti, uccise più persone delle truppe spagnole, permettendo a Cortés di entrare in una Tenochtitlán devastata dalla malattia piuttosto che dalle cannonate. Grazie alle pratiche di vaccinazione, il vaiolo iniziò a essere eradicato già a partire dall’800, diventando nel 1979 la prima malattia eradicata nella storia dell’umanità. Attualmente numerosi governi mondiali mantengono scorte di vaccini per il vaiolo, nonostante l’OMS ritenga che ciò sia inutile vista l’eradicazione dello stesso. Tuttavia l’ipotesi che il vaiolo venga utilizzato nuovamente come arma biologica non è del tutto assurda, soprattutto alla luce della follia umana, capace di risultati medici stupefacenti tanto quanto di insensate malvagità.

Con il vaiolo, prima malattia della storia dell’Umanità a essere stata completamente eradicata, si conclude questa nostra breve panoramica. A chiunque voglia approfondire la materia consiglio di rivolgersi non tanto all’amico ipocondriaco o a Google, piuttosto all’aspirante medico (o medico professionista) più vicino. Le pandemie sono state, e sono, una cosa troppo seria per far sì che vengano trattate come becera propaganda politica/giornalistica o populismo da due soldi volto a creare l’ennesimo spauracchio (vedasi la caccia all’untore) immotivato.

Quando ero ancora una giovane matricola universitaria, mi ricordo di un corso di Filosofia Estetica in cui la mia insegnante, parlando dell’Iliade, spiegava come gli dei ellenici, per decimare la popolazione mondiale diventata eccessiva, avessero messo al mondo (con i loro soliti trucchetti) la donna più bella dell’universo (Elena di Troia) e l’uomo più bellicoso (il Pelìde Achille). Da lì sarebbero nate guerre, carestie e pestilenze che avrebbero riportato il Mondo (non soltanto ellenico) a un nuovo e più salutare bilanciamento. Credo che questa fosse semplicemente la sua chiave di lettura delle cose (forse dettata da qualche aperitivo di troppo pre-lezione) però non nascondo che tale visione antropologica mi ha molto colpito, spingendomi a riflettere non tanto sulla caducità dell’esistenza umana, quanto più sulla resilienza dell’uomo e sul suo essere profondamente attaccato alla vita. Non credo che, nei prossimi anni, gli dei greci ci manderanno qualche nuovo Achille o qualche nuova Elena; piuttosto credo che, con una diffusione capillare dei livelli igienici minimi e con un’adeguata informazione e ricerca, a gran parte delle pandemie (esclusa quella Zombie, ovviamente) potrà essere posto un deciso freno. Perché se la ricerca medica è notevolmente importante, allo stesso modo lo è l’informazione. E, con essa, la conoscenza.

Ora mi sembra di capire perché quella stessa insegnante mi consigliasse di tenere sempre sul comodino l’Iliade o l’Odissea. Non per comprendere la natura della decimazione della popolazione mondiale da parte di divinità tanto sanguinarie quanto viziate, bensì per avere accanto a me la possibilità di conoscere e informarmi. Di capire. Di comprendere.

Forse la bellezza non ci salverà l’anima, né la cultura ci salverà la vita.

Di certo, però, ci daranno una grossa mano.

Quanto meno a sabotare l’ipocondria e l’ignoranza.

Che Ippocrate sia con voi!

Andrea Gratton

Andrea Gratton