English Renzie

English Renzie

Alcuni giorni fa, di fronte alla platea internazionale del Council on Foriegn Relations, il premier italiano Matteo Renzi ha fatto l’ennesima figura di palta litigando per un’oretta buona con l’inglese. Intendiamoci, non che l’Italia sia un paese di Shakespeare redivivi. Un paese dove la padronanza della lingua di Albione sia così chiara da autorizzare chiunque a deridere l’inglese volenteroso (eppur sgrammaticato) del premier. Tuttavia va sottolineato come l’errore principale di Renzi non si trovi nel tentativo di esprimersi in una lingua che non padroneggia a pieno. Altri politici, infatti, hanno commesso tale errore, ottenendo risultati ben più disastrosi:

(qui il buon Luigi Cesaro, alias “Giggino a’Purpetta”, ci dimostra come l’inglese sia l’ultimo dei suoi problemi lessicali)

L’errore di Renzi risiede nel voler insistere nel parlare suddetta lingua, avventurandosi in discorsi che, per complessità e appropriatezza lessicale, sono abbondantemente fuori dalla sua portata.

Il rapporto degli italiani con le lingue straniere, ciò è notorio, è sempre stato disastroso. Un insieme di evidenze insite alla società italiana (l’assenza, soprattutto nei decenni precedenti, di buoni insegnanti, la pratica del doppiaggio dei film in lingua originale, i pochi investimenti in materia, l’utilizzo diffuso dei dialetti…) ha fatto sì che gli italiani raggiungessero dei livelli di conoscenza delle lingue straniere abbondantemente inferiori alla sufficienza. Quanto meno se rapportati alla media europea. La problematica è trasversale e colpisce individui di ogni età, formazione scolastica, sesso e posizione sociale. Insomma, l’italiano medio ci azzecca poco con le lingue straniere. E, spesso, anche con la propria. Aspetto che, con ogni probabilità, è alla base del problema medesimo.

Renzi, quindi, è solo uno dei tanti esempi di compatrioti che, trovatisi all’estero, commettono una sequela di errori linguistici colti dalla smania (tutta italiana) di comunicare a ogni costo. Fatta la giusta tara, non è nemmeno l’esempio più terribile. Piuttosto è uno dei vari esempi archetipici in cui si suddividono gli italiani che tentano di parlare le lingue straniere.

Ecco, di seguito, alcune diverse categorie.

– L’Inglesista: l’Inglesista è colui che, cresciuto nel mito berlusconiano delle tre “i” (informatica, imprese, inglese), è convinto che l’inglese rappresenti la lingua occidentale definitiva per comunicare in qualsiasi parte del mondo. Peccato che la sua conoscenza della stessa si fermi alla terza media, quando la professoressa gli faceva ancora scrivere il dettato di “the pen is on the table”. L’Inglesista cerca quindi di comunicare in inglese (deficitario) ovunque, convinto che il suo interlocutore 1) debba conoscere l’inglese e 2) debba comprendere quella strana forma di shishs che esce dalle sue labbra. L’Inglesista parla inglese ovunque, anche in paesi che hanno in odio l’idea stessa di pronunciare un vocabolo uscito dalla stessa bocca della regina d’Inghilterra. L’Inglesista perfeziona il suo vocabolario navigando abbondantemente online (la prima “i” di cui sopra), sbagliando costantemente pronuncia e mandando in confusione l’interlocutore. “has” diventa “ass”. “Soccer” diventa “sucker”. Solo la figura di merda non si traduce, e resta uguale in ogni parte del mondo.

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– Il Gesticolatore: molti pensano che l’Italia sia famosa nel resto del mondo per gli spaghetti, la pizza, il mandolino e il Bunga Bunga. Sbagliato! L’Italia è famosa nel mondo soprattutto perché i suoi abitanti, nell’atto di comunicare, gesticolano un sacco. Per ovviare a quest’abitudine, incomprensibile per molti stranieri, è stato addirittura inventato un vocabolario gestuale degli italiani, il quale ha riscosso molto successo:

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Il Gesticolatore è il padrone incontrastato di tale vocabolario, riuscendo nell’arduo compito di farsi comprendere utilizzando pressoché unicamente il linguaggio gestuale. Accompagnandolo, solo nei casi più complessi, con una spolverata di lingua locale. O, nelle forme più estreme, con una sorta di nenia che riprenda la cadenza vocale di suddetta lingua. La comunicazione del Gesticolatore, infatti, non passa attraverso la voce, bensì attraverso le mani. Il Gesticolatore è talmente abile che, gesticolando, può ordinare al ristorante, fare i complimenti per il cibo, chiedere informazioni sugli orari di apertura dei musei, farsi indirizzare in un dato luogo. E così via, verso altre infinite possibilità di comunicazione, tutte passanti attraverso il veloce e artistico movimento delle mani e del corpo. In certi paesi il Gesticolatore può addirittura passare per stalker, ma poco importa: nel vocabolario gestuale del Gesticolatore la parola stalker non è traducibile.

– Il Jerry Calà: parlando di stalking e lingue straniere, come non citare il Jerry Calà. Il Jerry Calà è quell’italiano che, pur conoscendo a stento la sua stessa lingua, si è fatto tradurre da Google Translate tutte le frasi fatte per rimorchiare in qualsiasi parte del mondo. Nonostante non sia nemmeno in grado di ordinare un bicchiere d’acqua al bar, il Jerry Calà sa come chiedere alla cameriera se, una volta finito il turno, vuole salire in camera da lui. E lo sa fare in tutte le lingue del mondo. Dal francese allo swahili, dall’azero al polacco. Dallo spagnolo al bulgaro. Di solito tre quarti dei costrutti linguistici stranieri che conosce, oltre che sgrammaticati, sono volgari e/o, nella maggior parte dei casi, passibili di denuncia per molestie. Ciò, però, conta poco per il Jerry Calà. Il cui unico scopo è intingersi della conoscenza linguistica straniera, così da tornare al bar di paese (o alla sua bacheca Facebook) arricchito di nuove conquiste. Inutile dire che, dopo una marea di due di picche, finirà nel peggiore dei modi. Ovvero ripiegando nell’unico linguaggio universale: i soldi. Con il rischio, però, di intraducibili e inaspettate sorprese.

– Il Linguista: nonostante il suo arrivo dopo il Jerry Calà lasci adito a numerosi doppi sensi, il Linguista è l’italiano più preparato a comunicare nella lingua del paese in cui si recherà. Il Linguista ha studiato per dieci anni la lingua di suddetto paese, approfondendone cultura, letteratura, giochi di parole, costrutti particolari, eccezioni linguistiche, slang e chi più ne ha più ne metta. Il Linguista conosce ogni minimo aspetto della lingua in questione e, ovviamente, non perde occasione per farvelo notare. Corregge di continuo i vostri errori (a volte anche le “sviste” dei madrelingua) e chiede costantemente informazioni in merito alla pronuncia più corretta. Raccoglie notizie sulle vicende più insignificanti, costringendovi a condividere con lui/lei l’emozione per aver trovato un errore grammaticale nella brochure dell’ostello da voi prenotato. Il Linguista potrebbe perdersi in interminabili discorsi sulla declinazione del dato verbo irregolare, oppure sull’origine etimologica della data parola caduta in disuso ormai da qualche secolo. Riuscendo nel non semplice compito di farsi odiare dai compagni di viaggio, dai nativi del luogo e dalla grammatica stessa. Nel dubbio abbandonatelo in compagnia del Jerry Calà di turno. Alla peggio gli darà una mano a stornare l’accusa di molestie che potrebbe essergli caduta tra capo e collo.

– Il Muto: nonostante il nostro premier faccia di tutto per comunicare al mondo l’immagine dell’italiano caciarone e sgrammaticato che si sente in dovere di esprimersi sempre e comunque, vi sono molti italiani che, messo piede fuori dall’Italia, si chiudono in un mutismo estremo e inaccessibile. Non si tratta di protesta o di critica al paese ospitante, piuttosto di timidezza e di voglia di non commettere strafalcioni nel tentativo di comunicare in una lingua che non padroneggiano. Questa è la categoria del Muto. Il Muto non spiccica una parola che non sia una al di là dei patrii confini. Si limita a qualche cenno di assenso o diniego, ma nulla di minimamente paragonabile al Gesticolatore di cui sopra. Il Muto si accompagna solitamente a qualcuno che conosca (quanto meno in maniera superficiale) la lingua del paese ospitante (il Linguista o l’Inglesista) riunendosi con quest’ultimo in conciliaboli in lingua italiana per essere costantemente aggiornato su ciò che viene detto. Ed è proprio in questi conciliaboli che il Muto tirerà fuori tutte le parole non dette, esplodendo in una verbosità capace di sotterrare anche il Linguista più rigoroso. In caso di assenza di valvole di sfogo lessicali, il Muto si concentrerà su attività accessorie: lo shopping, il cibo, l’alcol. Se troverà un Jerry Calà sulla sua strada correrà il rischio di aspettarlo sulla soglia di qualche bordello. Muto, a fare il palo. Una volta rincasato spiffererà tutto. Anche i particolari più sordidi. Soprattutto quelli.

– Il Fantasista: il Fantasista non conosce la lingua straniera in cui andrà a comunicare tuttavia, ascoltando il consiglio di qualche amico, ha scoperto che tale lingua è strettamente imparentata con un’altra lingua o con qualche dialetto di sua conoscenza. Qui, per il Fantasista, si apre un vero e proprio universo. Può sbizzarrirsi a piacimento, ibridando una lingua di sua conoscenza con qualche vocale o consonante random in modo da ricreare (per lo meno nella sua mente) la lingua del paese ospitante. Se si trova in Spagna cercherà di aggiungere qualche “s” alle sue scarse conoscenze di dialetto veneto (“vamos a prenderes una birrettas”). Se si trova in Olanda penserà che buttare di tanto in tanto una “k” sibilata dentro a qualche reminiscenza tedesca gli darà una mano. Se si trova in Francia darà sfogo alla sua infarinatura di dialetto genovese, posizionando però la bocca a culo di gallina come le bimbeminkia che si fanno i selfie. A differenza dell’Inglesista il Fantasista non si limita a inventare solamente costrutti o parole inglesi. Anzi, un po’ è infastidito dall’uniformità linguistica portata da suddetta lingua. Più la lingua è strana o desueta e più il Fantasista ha raggio d’azione! La sua padronanza della lingua aumenterà con il periodo di residenza all’estero, tuttavia aumenterà di pari passo anche il suo grado di ibridazione della stessa. Il quale porterà alla creazione di nuove lingue transnazionali, nuove grammatiche, nuove letterature. Il motto del Fantasista è “l’errore di oggi è la regola di domani”. E la regola di domani è l’errore di dopodomani, in un circolo infinito.

– Il Beone: chiudiamo questa nostra carrellata dei tipi umani degli italiani che cercano di comunicare in lingue straniere con una delle categorie più diffuse. Perché va detto subito che Renzi non ha inventato nulla, piuttosto si è inserito nel solco di una tradizione di cattivi comunicatori che veniva da lontano. Anzi, da molto lontano. È questa la categoria del Beone. Il Beone è colui che, possedendo le basi elementari della lingua in cui andrà a esprimersi, si abbandona al fascino della stessa, sforando palesemente i limiti della sua conoscenza linguistica. Quest’abbandono a un flusso linguistico non padroneggiato può essere causato da diversi motivi. Vanagloria, dabbenaggine, eccesso di alcol nel sangue, eccesso di stimolanti, voglia di fare colpo su qualcuno/a e così via. Il Beone non è necessariamente alterato quando comunica, e deve il suo nome al tipico avventore ubriaco e logorroico che si può incontrare al bar. Quello che, con la bocca impastata d’alcol e l’accento al sapore di Sambuca, disquisisce di tutto lo scibile umano pur non avendone alba. Dall’astrofisica alla geopolitica. Dalla letteratura scandinava alla geometria non euclidea. Il Beone la tira lunga per principio, mantenendo un ritmo di comunicazione assai elevato, nella speranza che la velocità della sua bocca confonda l’interlocutore dalla sequela di strafalcioni che sta inanellando. Il Beone accresce la fiducia nelle sue capacità comunicative minuto dopo minuto, convinto che, di lì a poco, gli verrà data la doppia cittadinanza per l’incredibile padronanza linguistica. Se vede il suo interlocutore ridere, pensa stia ridendo con lui. Delle sue battute bi-linguistiche. Del suo parlare “globish”. No, caro il mio Beone: sta ridendo di te. E, zitto zitto, sta per trasformarti in un meme!

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Andrea Gratton